giovedì 12 aprile 2012

Una sfida

In questi giorni non è successo granché, quindi lasciate che vi annoi un po' con un post di natura più riflessiva. Vi avviso in anticipo così se ritenete di aver meglio da fare potete interrompere qui la lettura. Ma dato che siete arrivati fin qui...

Ho deciso di intraprendere questa esperienza da sola. Certo, la cosa è stata anche favorita dal fatto di essere stata assegnata alla prima destinazione da me scelta, per la quale era disponibile solo una borsa erasmus. Comunque, dicevo, ho deciso di intraprendere questa esperienza da sola perché sono consapevole di essere una persona piena di insicurezze e fondamentalmente abbastanza timida. Dal momento che si tratta di due handicap alquanto notevoli se si tiene alla propria sopravvivenza in società, ho pensato bene di mettermi alla prova e di farlo in grande questa volta. Perché quasi ogni giorno mi spingo ad accettare delle piccole sfide che mi mettono alla prova sul piano delle mie debolezze. Per come la vedo io la scelta di partire per l'Erasmus è un pacchetto all-inclusive di una serie di sfide che non si possono nemmeno prevedere.

Ovviamente la sfida più evidente è socializzare con gli altri. Fortunatamente noi studenti erasmus ci troviamo più o meno tutti nella stessa situazione, quindi siamo portati a cercare di stabilire un contatto con gli altri studenti, anche se ognuno lo fa per gradi diversi. Ci sono quelli che sono venuti qui con altri colleghi di università e quindi, sono portati a trascorrere molto tempo con loro. Si sentono compagni d'avventura e non hanno certo intenzione di abbandonarsi l'un l'altro. Molto spesso si tratta di persone che non parlano bene nemmeno una lingua straniera. Quindi preferiscono rimanere nella loro area protetta detta anche "comfort zone", un termine più immediato secondo me, e qualche volta, quando sono costretti o quando sentono la necessità di scambiare almeno due chiacchiere con i non appartenenti alla loro cerchia, intrecciano qualche frase in inglese maccheronico, attendono una risposta, sorridono e se ne vanno.

Poi ci sono quelli che invece potrebbero facilmente comunicare con gli altri, dato che la loro lingua madre è la lingua usata per comunicare a livello internazionale, ma che invece vogliono rimanere nella loro sfera protetta, cercando di ricostruire l'atmosfera di casa anche qui. Certo, bisogna ammettere che di tanto in tanto si dimostrano anche aperti al dialogo con altre persone, ma la sensazione di diffidenza e di incertezza da parte loro è ancora troppo palpabile. Magari si stempererà col tempo. Ciò che li pone in una situazione privilegiata è il fatto che la loro lingua madre è una delle più studiate e richieste al momento e quindi tutti gli altri cercano di trovare il modo di conversare con loro per esercitarsi.

Ad un terzo livello, invece, ci sono quelli che sono qui per entrare a contatto con culture diverse dalla propria e quindi sono felici di servirsi del tedesco o dell'inglese per stabilire un contatto con chi non è un connazionale. Io credo di trovarmi in questa posizione e devo dire che anche se non credo sia scelta più facile, sarà sicuramente la più appagante. Questo non implica una forma di razzismo nei confronti degli altri studenti italiani che sono qui: li ho conosciuti e sono tutti molto simpatici, gentili e disponibili. Però ho paura di cadere nella trappola della via più comoda e dunque sto cercando di tenere ancora le distanze. Spero di riuscire più avanti a trovare un equilibrio tra le due opzioni.

Di quest'ultimo gruppo di persone devo dire che spesso rimango spesso stupita della loro generosità e apertura. Nonostante io sia una perfetta estranea per loro, riescono a farmi sentire a mio agio fin da subito. Si mostrano propositivi, disposti a condividere pasti ed uscite, a cercare di sollevarmi dubbi e incertezze o anche solo a strapparmi con qualche parola da un certo senso di smarrimento in cui a volte precipito. Questo naturalmente crea un senso di familiarità che porta anche una come me, piuttosto diffidente e introversa, a lasciarmi andare e a tentare di ricambiare in ogni modo con la stessa generosità.

In tutti questi gruppi, poi, bisogna tener conto anche dei cosiddetti marpioni. Anche questa è una cosa da mettere in conto, naturalmente, che porta a dover compiere un'ulteriore valutazione dei ragazzi che girano per cercare di comprendere quali intenzioni abbiano. Quindi decidere come comportarsi con ciascuno e dal momento che ci sono anche culture diverse in gioco bisogna anche prestare attenzione a quello. Perché per quanto le intenzioni di tutti siano le medesime, non è detto che i modi di esprimerlo siano gli stessi.

Insomma,  tutte queste condizioni e varianti mettono in moto nella mia testa un gran numero di elucubrazioni mentali, necessarie per cercare di fare le scelte comportamentali più adatte a ciascuna situazione in cui mi trovo. Certo, niente di nuovo sotto il sole: si tratta di situazioni che quasi ogni essere umano sperimenta. Ma diciamo che al momento questo tipo di pensieri occupano parecchio la mia mente, perché mi trovo ancora in quella fase delicata che è l' inserimento all'interno di un gruppo e non è certo il caso di rilassarsi.

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