lunedì 12 novembre 2012

Perché proprio Kassel?


"Perché proprio Kassel?". Negli ultimi sei mesi mi son ritrovata spesso a dover rispondere a questa domanda, rivoltami soprattutto da tedeschi che sono stati o vivono in questa città nel nord dell'Assia. Alla domanda seguivano di solito commenti su quanto Kassel non spiccasse per la propria bellezza tra le città tedesche. Nelle guide turistiche è addirittura definita come “crimine architettonico”. “Certo”, rispondevo io di solito, “non si può pretendere troppo da una città che nel 1943 venne distrutta quasi completamente in un bombardamento aereo e ricostruita poi negli anni '50. Ma in questi sei mesi ho imparato ad apprezzare Kassel, che ha fatto da sfondo alla mia esperienza Erasmus”.

Kassel è una città poco più grande di Brescia, sia per estensione che per numero di abitanti: insomma, delle dimensioni perfette per permettere ad uno studente straniero di ambientarcisi in poco tempo. Il centro città è percorribile a piedi in pochi minuti e qualora ci si dovesse recare più lontano è possibile servirsi dei mezzi pubblici, gratuiti per gli studenti universitari. Per quanto il centro città non brilli per bellezza architettonica, basta spostarsi ai suoi confini per lasciarsi sbalordire dalla maestosità dei suoi parchi principali, il Karlsaue, il Fuldaue e il Wilhelmshöhe. Nel XVIII secolo ospitavano le residenze del Langravio Guglielmo IX di Assia-Kassel, successivamente trasformate in musei.

Kassel è però conosciuta soprattutto come la città della documenta, la più importante mostra di arte contemporanea a livello mondiale, della durata di cento giorni, che si tiene ogni cinque anni dal 1955. Io ho avuto la fortuna di trovarmi in città proprio nell'anno in cui si è tenuta la tredicesima edizione di questa mostra e ho potuto quindi osservare come la città si animi in occasione di questo evento. Visitatori da tutto il mondo, eventi speciali e locali temporanei aperti per l'occasione come luoghi di dibattito sui temi proposti dall’edizione corrente della documenta.

Pur non sapendo nulla d'arte moderna ho cercato di avvicinarmi a questa mostra tramite uno dei seminari che ho frequentato, incentrato sull'ambiente culturale dell'Assia e di Kassel in particolare. Ciascuno studente doveva scegliere un artista o un personaggio legato ad un'associazione culturale della regione ed intervistarlo. Consapevole dell'importanza della documenta per la città di Kassel ho deciso di intervistare il presidente del documenta forum, l'associazione che si occupa della promozione e della cura dell’archivio della mostra. Con mia grande soddisfazione l'intervista è stata poi pubblicata sul sito del Literaturbüro Nordhessen, l'associazione culturale per cui lavora il professore che ha tenuto questo seminario.

L'università di Kassel, molto giovane rispetto ad altre università tedesche, è estremamente dinamica e ben organizzata. Il sistema di accoglienza e assistenza agli studenti stranieri è molto efficiente, cosa di fondamentale importanza per favorire il loro inserimento in un ambiente a loro estraneo. Inoltre l'università non accoglie solo studenti europei: sono tantissimi gli studenti che provengono da ogni parte del mondo. Questo mi ha dato l'opportunità di confrontarmi ed entrare contemporaneamente in contatto con moltissime culture diverse dalla mia in un unico ambiente, cosa che non capita spesso.  Per una studentessa di lingue come me è stato importantissimo, sia da un punto di vista linguistico che socio-culturale. Ma soprattutto mi ha permesso di stringere amicizia con persone eccezionali.

Quest’anno il programma Erasmus ha compiuto venticinque anni e paradossalmente, a pochi mesi di distanza dai festeggiamenti, il suo futuro appare incerto. Alla luce della mia esperienza mi auguro si riesca a trovare una soluzione per garantirne la sopravvivenza, perché si tratta di un’esperienza di vita unica. 

Erasmus a Kassel: l'intervista

Tornata dall'Erasmus sono stata contattata dalla professoressa responsabile dell'Erasmus in Germania, la quale mi ha chiesto di informarla sulla mia esperienza e successivamente ha contattato l'ufficio stampa della mia università per fissare un'intervista con me. Quindi sono stata contattata dalla ragazza che si occupa delle interviste all'interno dell'università e abbiamo fissato l'intervista per metà Ottobre. Oltre a rendermi disponibile per l'intervista mi è stato chiesto di scrivere un articolo che riassumesse la mia esperienza Erasmus e allegare alcune foto che sono poi state inserite nel video dell'intervista. Di seguito pubblico il video e nel post successivo l'articolo che avevo scritto, che non credo sia mai stato pubblicato sul sito dell'università.





giovedì 1 novembre 2012

Heaven knows I'm miserable now

Se c'è una cosa che non sopporto è il non poter essere triste. Quando una persona soffre, sta male e si trova a dover rispondere alla domanda "come stai?" può glissare semplicemente rispondendo "bene", anche se non è vero. Oppure può dire la verità, ovvero esprimere il proprio senso di disagio e spiegare il motivo della propria tristezza. In questo caso, però, è inevitabile che l'altro risponda con ogni formula consolatoria possibile, provocando in chi sta male un senso di colpa per la propria tristezza. E questo per me è inaccettabile.

Quando uno sta male non può semplicemente soffocare i propri sentimenti e andare avanti. Reprimere il malessere non aiuta a guarirlo. C'è bisogno di sfogarlo, liberamente, senza giudizi né frasi di circostanza che dovrebbero portare conforto. Il semplice ascoltare e una presenza silenziosa possono aiutare più di qualsiasi altra cosa. Capisco perfettamente che chiunque davanti alla frase "sto male" cerchi di combattere affannosamente l'imbarazzo creato da queste parole con frasi fatte che dovrebbero fungere da antidoto. Ma queste non fanno altro che infastidire l'altra persona, che se le è sentite ripetere già migliaia di volte e che quando si sarà stancata di sentirle rinuncerà a dar voce al proprio malessere. Se ne starà zitta, ogni volta sempre più a lungo, per tentare di digerire quel boccone amaro che ogni volta diventa più grande e faticoso da deglutire.

A volte vorrei tanto riuscire ad essere come una canzone degli Smiths o dei Cure: in esse la tragicità del testo, una trama di pensieri cupi, malinconici, totalmente privi di speranza, è perfettamente controbilanciata dalla musica, allegra, briosa, che invoglia a ballare. In esse un pensiero profondamente negativo, un pensiero che tipicamente appartiene ad una persona depressa o triste, viene veicolato attraverso delle note che lo svuotano apparentemente di qualsiasi tono grave e drammatico, rendendo il messaggio più digeribile e meno imbarazzante per l'ascoltatore.  Ma per ora non sono ancora riuscita a pronunciare le parole "Heaven knows I'm miserable now" con la stessa nonchalance con cui lo fa Morrisey. Perciò me ne sto zitta.