sabato 31 marzo 2012

Partenza per Kassel pt. 2

[Continua dal post precedente]

Salita sul treno, sistemo le valigie nell’apposito scomparto e mi accomodo tranquilla nel primo posto disponibile, tenendo in mano solo il biglietto del treno in attesa del controllore. Dopo più di metà viaggio, vedo comparire in lontananza il controllore e quindi do un’occhiata al mio biglietto. Con orrore scopro che avrei dovuto prendere l’intercity solo dall’aeroporto di Francoforte alla stazione centrale e poi da lì un treno regionale. Quindi capisco subito di essere sul treno sbagliato, ma ormai sono quasi giunta a destinazione e quindi attendo con ansia l’arrivo del controllore per scoprire in che modo sarei stata punita per l’errore commesso.


Dalla sua comparsa nel mio vagone il controllore interrompe per tre volte il suo lavoro, perché ad ogni fermata deve scendere a segnalare al capotreno quando ripartire. Nel frattempo io spero che la fermata di Kassel arrivi prima che il controllore arrivi da me. Ovviamente questo non succede e Herr Zimmermann (no, non è Bob Dylan purtroppo, è il controllore) mi comunica che dovrò pagare 52 euro di differenza, visto che ho preso il treno sbagliato.


Il treno arriva dopo poco alla prima fermata di Kassel, Wilelmshöhe, dove scendo. Esco dalla stazione e cerco di capire dalla cartina della città quale autobus dovrei prendere per raggiungere la mia meta. Ovviamente la cartina risulta illeggibile e quindi rientro in stazione e mi reco all’ufficio informazioni, dove gentilmente un signore baffuto e pasciuto mi stampa le indicazioni per l’ostello, dicendomi di affrettarmi visto che il mio pullman era in partenza.


Corro verso il pullman trascinandomi dietro trenta chili di valigie e con la lingua a terra salgo sul pulmino, tentando di dire all’autista che devo andare a “Achenbacherstrasse”. Lui ovviamente non mi capisce e così gli porgo il foglio con le indicazioni. Lui annuisce e mi dice che il biglietto costa due euro e cinquanta. Io invece, totalmente stordita, arrivo a pensare che sia possibile che un biglietto costi cinquantadue centesimi e quindi glieli porgo. Lui mi guarda malissimo e ripete il prezzo scandendo bene le parole, mettendo in mostra un paio di denti d’oro e un paio d’argento che mi lo fanno tanto sembrare un pirata.


L’autobus parte e poche fermate dopo devo già scendere. Vado a consultare la cartina esposta sotto la pensilina e vedo che l’ostello non è molto lontano. Peccato che non riesca a capire bene come raggiungerlo. Io che mi vanto sempre della mia capacità di leggere le cartine e di avere senso dell’orientamento, non riesco a raccapezzarmi. Chiedo quindi direzioni ad un passante che mi indica la retta via. Spostandomi a piedi scopro con mio dispiacere che Kassel assomiglia molto ad Edimburgo: è piena di strade in pendenza, perché costruita in una zona collinare. Dico “con dispiacere” perché non è bello trascinare trenta chili di valigie in salita al termine di un viaggio non proprio tranquillo.


Dulcis in fundo, arrivo in ostello e scopro che la mia camera si trova al terzo piano e non c’è l’ascensore. Due rampe di scale prima di ogni piano. In questo momento mi sento proprio come il topolino di Cenerentola, Gas Gas, che deve spingere la chiave in cima ad un’interminabile rampa di scale. Per fortuna un ragazzo giapponese mi vede e mi aiuta con le valigie.


Ed eccomi qui, in una sorta di camera di decompressione prima di accedere a quello spazio che sarà la mia esperienza universitaria in Germania. Ora ho qualche giorno per adattarmi, iniziare ad esplorare la città e a realizzare finalmente che ciò che sto pianificando da un anno.

Partenza per Kassel pt. 1

Per quanto non sia nella mia natura tenere un resoconto giornaliero della mia vita penso che questo sia il momento adatto per iniziare. Quindi eccovi qua la prima parte del racconto del mio viaggio verso Kassel. L'ho spezzato in due parti visto che mi sono dilungata un poi nei particolari. 

                                                                                                                            Jugendherberge Kassel 

                               

Finalmente sento di potermi rilassare un po’. Sono comodamente sdraiata sul letto a castello nella mia camera d’ostello, con il portatile appoggiato sulle gambe e scrivo. Fino a qualche ora fa non avrei potuto tranquillamente accendere e usare il pc senza temere che si sarebbe presto esaurita la batteria. Infatti sono partita senza adattatore e solo poche ore fa sono riuscita a reperirne uno durante un giro di perlustrazione in centro, durante il quale ho acquistato anche altre cose di cui avevo bisogno, che non ho potuto infilare in valigia per questioni di spazio. Reperire un adattatore potrebbe sembrare cosa di secondaria importanza, ma dopo il viaggio di ieri quell’aggeggio quasi insignificante diventa l’elemento fondamentale a ristabilire l’equilibrio tra il piatto negativo e quello positivo della bilancia, tra seccature e incidenti di vario genere e eventi positivi.


Sono partita al termine di una settimana alquanto intensa, in cui ho diviso il mio tempo tra le lezioni in università, la preparazione di una presentazione in tedesco che ho tenuto due giorni prima della partenza e appuntamenti vari con amici e parenti da salutare. Del resto anche le settimane precedenti non sono state da meno. In tutto questo, il tempo che ho potuto dedicare alla progettazione del viaggio e alla preparazione delle valigie è stato ben poco. 


Venerdì mattina, sveglia ore quattro. Nel senso che la sveglia è suonata alle quattro. Io mi sono alzata mezz’ora dopo quando è venuta mia mamma a chiedermi perché avevo spento la sveglia e non mi ero alzata dal letto. Dopo una rapida colazione mi sono precipitata in camera a chiudere le valigie e a pesarle ancora una volta. Naturalmente, dopo aver impiegato un’energia disumana per chiudere la valigia grazie anche all’aiuto dei miei genitori, ho scoperto che pesava troppo e quindi sono stata costretta a riaprirla e mettere  qualcosa nel trolley.


Giunta in aeroporto, imbarco il bagaglio, saluto i miei e mi avvio nella zona check-in. Qui inizio a riempire cestini con giubbino, portatile, liquidi, cintura ecc. passo per il metal detector, che suona. Quindi torno indietro, la guardia mi dice di togliermi gli stivali, ripasso per il varco e ancora "biiip". Disperata, mi tolgo anche l’orologio e il bracciale di pelle, che mollo nelle mani della guardia giurata, che decide di chiamare la collega per perquisirmi. "Tutto a posto" (che scoperta!). Perciò vado a recuperare le mie cose per rivestirmi e sento la voce della guardia che mi chiama, perché ho lasciato in giro la mia carta d’imbarco. Recupero la carta, ricomincio a vestirmi e mi ricade per terra il foglio, che viene prontamente recuperato dallo stesso uomo della sicurezza, che probabilmente si sta sforzando di non ridere in faccia ad un’imbranata come me.


Arrivo al gate e scopro che tra i passeggeri ci sono anche dei ragazzi siciliani, dall’aspetto classificabili come “tamarri”. Abbronzatura artificiale, tatuaggi, ciglia accuratamente depilate, orecchini con brillante e collane varie. Peccato che una volta salita sull’aereo scopro che ci son altri due gruppi di tamarri, romani e napoletani, e che quello dei siciliani è il più tranquillo. Durante il volo ho “l’enorme fortuna” di osservare da vicino il gruppo di tamarri romani, dal momento che alcuni di loro sono seduti vicino a me. 


Ciò che più di tutto mette in crisi la comitiva di tamarri laziale è il non potersi sedere tutti vicini. Dramma esistenziale, data la lunghissima durata del viaggio: addirittura un’ora e un quarto!!! Il fatto di essere lontani li costringe a comunicare urlando ancor più forte del solito, in modo tale che io li possa sentire benissimo nonostante abbia il volume dell’Ipod al massimo. Quindi un paio dei soggetti maschili del branco devono dar spettacolo alzandosi ripetutamente durante il decollo e l’atterraggio, ignorando ovviamente l’obbligo di star seduti con le cinture allacciate in queste fasi del volo.


Atterrati a Francoforte-Hahn, recupero il bagaglio e mi metto alla ricerca della stazione ferroviaria, che invece non c’è. Capisco quindi di aver confuso l’aeroporto di Francoforte con quello di Francoforte-Hahn e di conseguenza realizzo d aver prenotato inutilmente un biglietto del treno che mi avrebbe portato dall’aeroporto alla stazione centrale di Francoforte e da qui a Kassel. Sono quindi costretta a prendere l’autobus da Hahn, che conduce alla stazione centrale di Francoforte. Durata del viaggio: due ore. Ergo, perderò sicuramente anche il treno per Kassel!!! Vabbè, penso, ne prenderò un altro simile in partenza qualche ora più tardi.

Nel giro di un’ora si presentano tre autobus alla fermata dell’aeroporto e io ovviamente riesco a salire solo sull’ultimo, dal momento che un aereo di persone deve raggiungere il centro città e la maggioranza, diversamente da me, non ha bagagli da caricare nel baule, quindi riesce a mettersi in fila non appena l’autobus arriva e a salirci rapidamente non lasciando più posti liberi per gli ultimi della coda.

Finalmente seduta sull’autobus, penso di poter sfruttare il viaggio per schiacciare un pisolino, quando scopro che nei posti vicino al mio si è seduto il gruppo dei tamarri napoletani. Anch’essi si contraddistinguono per irrequietezza e voce alta ed abbandono quindi l’idea di farmi un riposino. In compenso ascoltando le loro chiacchiere trovo conferma dell’idea che mi sono fatta: i tamarri vanno a Francoforte perché qui ci sono alcune delle più importanti discoteche tecno in Europa, prima fra tutte quella di Sven Väth. 

Dopo un’ora e mezza di strada l’autobus si ferma davanti alla stazione centrale di Francoforte. Estraggo le mie due pesanti valigie dal baule, entro in stazione e mi dirigo verso la prima tabella con gli orari dei treni che trovo. Cerco l’orario di partenza del prossimo intercity, dal momento che secondo il mio biglietto è previsto che prenda un intercity, e mi reco al binario al quale è previsto che arrivi il treno per Kassel. 

[Continua nel prossimo post...]