giovedì 28 novembre 2013

Dal tramonto al Luci d'Alba

Ci sono locali fuori dal tempo che non penseresti mai possano esistere ancora oggi. Ci sono locali fuori dalla realtà che non penseresti mai possano esistere al di fuori della fantasia di un qualche scrittore o sceneggiatore. Poi un giorno ci capiti dentro per caso, un po' come Alice quando cade dentro il tunnel diretto al mondo delle meraviglie, e finisci preda di un incantesimo stupefacente che stuzzica la tua curiosità e la tua fantasia.

Di recente sono finita per la terza volta in vita mia in uno di questi locali, battezzato con un nome echeggia certe poesie del periodo romantico: "Luci d'Alba". "Luci d'Alba" fa subito pensare ad un rifugio notturno per qualsiasi amante della notte, deciso ad arrendersi al sonno solo alla vista dei primi raggi di sole mattutini. Insomma, un posto adatto come soggetto per un quadro di Edward Hopper. Segnalato da una piccola scritta al neon appesa sul muro di una vecchia casa nel centro di Padenghe, il locale è accessibile da una porta in ferro battuto e vetro sulla quale cade sinuosamente un cespuglio d'edera.

Aperta la porta ci si trova davanti una lunga scala di legno diretta sotto terra. Scendendo, tra le luci soffuse, si riesce a scorgere dei divanetti di velluto rosso, incastonati in cubicoli e palchetti in muratura che suddividono l'ambiente in piccole alcove private. Inevitabile pensare di essere scivolati in un salotto viennese dei primi anni venti del Novecento alla Schnitzler o in un locale bohémien parigino. Addirittura i personaggi dei quadri appesi ovunque sembrano annuire per cercare di convincerti che le tue fantasie siano vere.

Giunti in fondo alla scala ci si trova di fronte al cuore "pulsante" del locale: un pianoforte a coda sovrastato da un minuscolo soppalco sul quale è montata una batteria. Sul pianoforte sono appoggiate delle maracas e un tamburello, mentre dietro lo sgabello del pianista si trova una chitarra elettrica appollaiata sull'apposito trespolo di supporto. Sì, perché il "Luci d'Alba" non è un semplice "bar", bensì un "piano bar"! Uno sguardo al pianista e sembra di essere finiti in una puntata di "Tales from the Crypt". Eh sì, perché al piano siede un vecchio dalla folta chioma canuta, che altri non è se non la versione da mondo dei viventi di Zio Tibia della famosa serie horror americana.

Sopra il pianoforte è sospesa la batteria. Il soppalco sul quale si trova è talmente in alto e talmente buio che difficilmente ci si accorge immediatamente della sua esistenza. Di solito lo sguardo scova questo antro seguendo la traccia lasciata da un leggero tintinnio di piatti, fastidiosamente regolare quanto il rumore d'una goccia che cola da un rubinetto rotto. Una volta realizzato che c'è una batteria appesa sotto il soffitto, si scorge anche l'antico suonatore che vi sta seduto dietro. Probabilmente il batterista un bel giorno è rimasto incastrato dietro alla batteria ed è invecchiato lì.

La forza vitale nei due uomini è quasi totalmente scomparsa. I due continuano a suonare quasi per forza d'inerzia, ma ormai non riescono più a trasmettere né ritmo, né accenti. Da un momento all'altro si teme sempre possano accasciarsi fatalmente sullo strumento. Tutte le canzoni sembrano essere uguali: stesso ritmo, stessi accordi. Non parliamo del cantato! Probabilmente terrorizzati di vedere la loro dentiera spiccare il volo a metri di distanza, i due suonatori aprono a malapena le labbra per cercare di articolare qualche parola che inevitabilmente resta incompresa dal pubblico. Ogni volta che inizia una canzone io ed i miei amici ci sforziamo per cercare di decifrare di quale canzone si tratti. Molto spesso ci arriviamo a metà della prima strofa, perché improvvisamente ci viene in aiuto una parola articolata in maniera tale da permettere all'udito umano di decifrarla.

L'ondata di vita giunge quando si ordinano i drink. Ogni divanetto è dotato di un citofono attraverso il quale si comunica alla signora dietro al bancone la lista dei desideri. In men che non si dica giunge una briosa settantenne,ancora ben conservata devo dire - a differenza dei suoi colleghi - che si annuncia con voce squillante recando liste o bevande, a seconda di quanto le è stato richiesto poco prima. A seconda dell'orario, questa elegante signora, dai capelli mori (tinti) e dal trucco curato, può comparire sobria o allegramente alticcia. Si sa, l'intensa esposizione ai fumi dell'alcool può involontariamente causare un senso di ebbrezza... Effettuata la consegna, se le va, la barista fa una sosta vicino al pianoforte. Agguanta o le maracas o il tamburello ed inizia a scuoterli con decisione. A questo punto sorge il sospetto che questa arzilla vecchietta sia una vampira d'energia vitale, succhiata nel tempo ai due vegliardi che a fatica si trascinano tra una nota e l'altra.

Ogni volta che andiamo al "Luci d'Alba" io ed i miei amici sorseggiamo drink scambiandoci opinioni sulla vita passata di questi personaggi bizzarri, ipotizzando sul modo in cui potrebbero lasciarci le penne da un momento all'altro e ridendo degli "arrangiamenti" involontari per ciascuna delle canzoni che si susseguono durante la serata. Quando ci alziamo per andarcene tiriamo un sospiro di sollievo pensando che anche questa volta non siamo rimasti prigionieri degli spettrali gestori del bar e saliamo le scale immaginando cosa possa succedere tra quadri e divanetti nel cuore della notte, quando ormai noi ce ne siamo andati.

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